Domande frequenti

Per definizione, la terapia breve strategica è un intervento psicoterapeutico focale e breve, l’esatta durata della terapia varia a seconda delle situazioni. Nella maggior parte dei casi tale forma di intervento induce i primi cambiamenti già a partire dalle prime sedute del trattamento. E’ regola dei terapeuti strategici (che sono affiliati al CTS di Arezzo e monitorati dal Prof. Nardone) verificare costantemente l’efficacia dell’intervento, chiedere l’eventuale supervisione e qualora alla decima seduta osservassero il problema invariato, indirizzare la persona a un collega dello stesso o di diverso orientamento.
Nelle prime fasi del trattamento le sedute della terapia strategica possono essere sia a cadenza settimanale che quindicinale, a seconda del tipo di problema presentato e delle esigenze della persona stessa. Una volta ottenuto lo sblocco del disturbo, e quindi il primo sostanziale miglioramento, le sedute vengono ulteriormente distanziate per permettere alla persona di sperimentare nella propria vita quotidiana le ritrovate risorse e capacità, senza che venga a crearsi una forte dipendenza dalla figura del terapeuta. La terapia si conclude infine con 3 controlli (follow-up) condotti a distanza di 3 mesi, 6 mesi e 1 anno dalla fine della terapia, per verificare il mantenimento del risultato nel tempo.
Come emerge chiaramente dai follow-up condotti a distanza di 3 mesi, 6 mesi e 1 anno dalla fine della terapia, la presenza di ricadute è minima e generalmente non si verificano nel tempo spostamenti del sintomo. I risultati delle ricerche effettuate su migliaia di casi che sono stati trattati con la terapia breve strategica negli ultimi 25 anni, sia dal Prof. Giorgio Nardone che dai terapeuti affiliati, hanno mostrato non solo un’elevata efficacia dell’intervento, valutata alla fine del trattamento, ma anche e soprattutto il mantenersi di tali risultati nel tempo.
La terapia breve strategica è un intervento di tipo psicoterapeutico e, come tale, non prevede l’ausilio di farmaci. Qualora il paziente arrivasse in terapia con una cura farmacologica in corso, si suggerisce di proseguire con questa seguendo le indicazioni del proprio medico o psichiatra. Sarà preoccupazione del terapeuta - negli ultimi stadi della terapia e in seguito a consultazione con il medico o lo psichiatra curante - renderlo in grado, se possibile, di ridurre gradualmente l’utilizzo dei farmaci, fino ad arrivare ad una completa interruzione dell’assunzione. Questo avviene, generalmente, in tutti i casi di disturbi d’ansia (ansia generalizzata, attacchi di panico, ossessioni, compulsioni, agorafobia e altre fobie), disordini alimentari o depressione reattiva, che giungono in terapia con una cura farmacologica in corso. Fanno eccezione a questa regola rari casi, solitamente disturbi psicotici o depressioni di tipo endogeno, in cui il terapeuta può ritenere utile una terapia di tipo integrato e ricorrere quindi alla collaborazione di uno psichiatra. In questi casi il terapeuta, in accordo con il paziente, richiede al collega psichiatra un supporto farmacologico che permetta di ottimizzare l’efficacia e l’efficienza dell’intervento psicoterapeutico.
Molto spesso le persone che presentano determinati tipi di problemi, ad esempio disordini alimentari o particolari difficoltà relazionali, rifiutano di rivolgersi ad uno specialista o appaiono estremamente resistenti a qualsiasi tipo di intervento. In questi casi la famiglia, se adeguatamente indirizzata, può svolgere un ruolo fondamentale e determinante nel trattamento del disturbo. In queste situazioni il terapeuta strategico è solito fare un primo incontro con i familiari, o con altre persone che sono vicine a colui che manifesta il problema, e valutare con loro cosa sia possibile fare per intervenire. Il terapeuta strategico potrà quindi dare indicazioni su come cercare di coinvolgere il 'portatore del disturbo' nella terapia, oppure dare indicazioni concrete ai familiari su come comportarsi relativamente alla persona e al disturbo in questione, ricorrendo così ad una forma di terapia indiretta. In seguito a questo intervento può capitare che il 'paziente designato' decida di entrare in terapia in un secondo momento, negli altri casi la terapia procede solo in maniera indiretta.
La Terapia Breve Strategica si occupa da una parte di eliminare i sintomi o i comportamenti disfunzionali per i quali la persona è venuta in terapia, dall’altra di produrre il cambiamento delle modalità attraverso cui questa costruisce la propria realtà personale e interpersonale. Ovvero, di produrre dei cambiamenti nella percezione della realtà della persona e non solo nelle sue reazioni comportamentali, in modo da spostare il suo punto di osservazione dalla posizione originaria, rigida e disfunzionale, ad una prospettiva più elastica e con maggiori possibilità di scelta. Questo porterà ad un conseguente cambiamento anche delle sue modalità comportamentali e delle sue cognizioni. La Terapia Breve Strategica non rappresenta quindi una terapia puramente sintomatica, ed è proprio per questo che, una volta risolto il problema portato in terapia, non si sviluppano sintomi sostitutivi.
La Terapia Breve Strategica non presenta alcuna 'controindicazione' rispetto alla coesistenza di altri interventi terapeutici, poiché rappresenta una modalità di lavoro originale, che non risente di interferenze rispetto ad altri percorsi psicoterapici. Di conseguenza, la persona che sta seguendo una psicoterapia di altro tipo, o una terapia farmacologica, può rivolgersi ad un terapeuta strategico senza dover interrompere il trattamento attualmente in atto.
Accade molto frequentemente che una persona che vive un momento critico non sia in grado di definire con chiarezza il proprio stato di disagio o si senta immersa in uno stato di sofferenza dai contorni non ben delineati. In questi casi, il primo compito di un terapeuta strategico è proprio quello di guidare ed aiutare la persona a definire in modo più preciso la propria situazione e a concordare l'obiettivo di trattamento su cui lavorare. Un intervento di terapia breve strategica, quindi, è indicato ogniqualvolta sia possibile concordare uno o più obiettivi su cui lavorare, anche in assenza di un problema chiaramente definito.
Nei casi di problemi non particolarmente acuti e pervasivi, il terapeuta strategico può proporre un intervento di consulenza breve strategica piuttosto che una vera e propria psicoterapia articolata nelle canoniche dieci sedute. Difatti, la consulenza breve risulta essere particolarmente funzionale ed efficiente quando si ha a che fare con disturbi definibili come 'non impedenti'. Si tratta di tutti quei problemi che, limitando in modo circoscritto le opportunità di un individuo, non ne ostacolano la vita quotidiana. I disturbi non impedenti comprendono diverse categorie: problemi sentimentali o di coppia, difficoltà relazionali con colleghi di lavoro, problemi di relazione genitori-figli, problemi scolastici, blocchi della performance, sintomatologie potenzialmente impedenti ma che si trovano ancora nella fase di strutturazione iniziale. La consulenza breve ha un'efficacia molto alta ed un elevato grado di efficienza (al di sotto delle cinque sedute), con uno sblocco repentino, solitamente tra la prima e la seconda seduta, seguito da qualche seduta di controllo per verificare il mantenimento nel tempo dei risultati ottenuti. Questa tipologia di intervento appare particolarmente indicata per tutti coloro che necessitano di trovare soluzioni rapide ed efficaci a problemi che, pur non essendo impedenti, in un dato momento della propria vita possono apparire difficilmente superabili senza un aiuto esterno.
Da un punto di vista strategico, portare in consultazione psicologica un bambino è un evento potenzialmente dannoso. Difatti, oltre a dar vita ad un pericoloso processo di 'etichettamento diagnostico' a partire fin dai primi anni di vita, l'essere in cura da uno psicologo rischia di far sentire il bambino 'anormale', 'cattivo' o, comunque, 'diverso'. Questo non può che avere conseguenze negative sul suo sviluppo psicologico. Oltre a ciò, quando si ha a che fare con bambini al di sotto dei 12-13 anni (o comunque prima della pre-adolescenza), la leva più vantaggiosa per produrre un cambiamento appare la famiglia stessa, piuttosto che la figura esterna del terapeuta. In altri termini, la via principale per produrre dei cambiamento rapidi e persistenti in un bambino passa attraverso il lavoro indiretto condotto con i genitori. Grazie a concrete indicazioni di comportamento, i genitori saranno guidati dal terapeuta a modificare determinati atteggiamenti (ovvero le loro 'tentate soluzioni') che porteranno alla risoluzione del problema presentato dal figlio, senza che sia necessario vedere in bambino in seduta nemmeno una volta.
Capita talvolta che una coppia di genitori rilevi nel figlio o nella figlia segnali preoccupanti che inducono a ritenere utile una psicoterapia o, almeno, una consultazione psicologica. Accade però frequentemente che i figli, soprattutto nell'età dell'adolescenza o nella prima età adulta, rifiutino di accettare l'esistenza di un problema e, di conseguenza, di consultare uno specialista. Questo accade spesso nell'ambito dei disordini alimentari (anoressia, bulimia e vomiting), in cui la figlia nega di avere alcun tipo di problema con il cibo, ma anche relativamente a problemi di tipo fobico-ossessivo (ansia, compulsioni, fobie, etc.) relazionale (difficoltà a relazionarsi con i pari, aggressività verso i familiari, etc.) o depressivo. Possiamo considerare in questa categoria anche tutti i casi di difficoltà scolastiche o relazionali con i genitori che, sebbene meno allarmanti da un punto di vista diagnostico, sono comunque causa di sofferenza e disagio in famiglia. In tutte queste situazioni, il terapeuta strategico è solito fare un primo incontro con i genitori e valutare con loro se il problema richieda un intervento psicoterapico e, se sì, di quale tipo. Il terapeuta strategico potrà dare indicazioni concrete ai genitori su come comportarsi relativamente al figlio/a e al disturbo in questione, ricorrendo così ad una forma di terapia indiretta, oppure dare indicazioni e suggerimenti su come cercare di coinvolgere il figlio/a nella terapia. Accade sovente che un intervento inizialmente 'indiretto' (ossia condotto solo attraverso i genitori) si trasformi in un secondo momento in un intervento 'misto', ovvero condotto sia sui genitori che sul figlio, il quale appare più disposto ad entrare in terapia sulla scia dei cambiamenti messi in atto dai genitori.
Sebbene la Terapia Breve Strategica lavori anche con le coppie (ovvero vedendo entrambi i partner in seduta), la maggior parte dei problemi definiti 'di coppia' appaiono spesso più facilmente affrontabili mediante il lavoro condotto con uno solo dei due membri. Da questo punto di vista, una persona che ritenga di vivere una difficoltà di coppia può rivolgersi direttamente ad un terapeuta strategico senza necessariamente dover coinvolgere il partner nella decisione. Sarà poi il terapeuta, esaminando a fondo il tipo di problema e la situazione presentata, a valutare se sarà possibile, o addirittura preferibile, condurre la terapia con uno solo dei due membri, o se sarà invece necessario coinvolgere in qualche modo l'altro partner almeno in qualche fase del trattamento.